Questo articolo è apparso originariamente in italiano so Osservatorio Balcani e Caucaso Traseuropa. Trovi l’articolo qui: La grecità della Calabria
Il fuoristrada si arrampica sui fianchi dell’Aspromonte lasciandosi dietro una nuvola di polvere. Ai lati del veicolo scorrono peri selvatici, ciuffi di erica violacea, cuscini gialli di sparzio spinoso o ancora i fiori altissimi della ferula, che si stagliano sulla macchia mediterranea straordinariamente verde e rigogliosa in questo inizio d’estate.
«Questi posti hanno una bellezza struggente, come se ci fosse sempre un pizzico di amaro», commenta con voce calma la nostra guida, Arturo Rocca, mentre le sue mani sferzano velocemente il volante seguendo il tracciato sconnesso. Ci troviamo nella Locride, un’area di oltre 1.300 km quadrati che abbraccia il lato ionico della provincia di Reggio Calabria, scivolando a valle fino alla Costa dei Gelsomini. Locri, Gerace, Siderno, Riace sono solo alcune delle località situate in questo territorio che s’inerpica rapidamente, passando dal mare ai quasi 2.000 metri della cima più elevata, e che siamo venuti a scoprire alla ricerca di legami storici e rapporti contemporanei con la vicina Grecia.
“Sedici fiumare attraversano la Locride. Sono il sistema linfatico di questa regione” prosegue Arturo Rocca, mentre scendiamo e risaliamo la vallata scavata da uno di questi fiumi stagionali. Qualche millennio fa, quelli che oggi appaiono come dei letti rocciosi e quasi completamente asciutti erano dei fiordi profondi in cui entrava il mare, fornendo riparo ai navigatori. La Calabria ionica era una terra fertile dove l’agricoltura fioriva e dove, a partire dall’VIII secolo a.C., si stabiliscono i primi coloni greci, fondando quella Magna Grecia che coinvolge nell’arco di tre secoli quasi tutto l’attuale Sud Italia, da Siracusa a Taranto, da Napoli a Crotone. Cos’è rimasto oggi di quell’esperienza storica e che ruolo ha nella narrazione contemporanea di questi luoghi?
Il viaggio che ci ha portato nella Locride vuole proprio rispondere a queste domande. Levantina – un’iniziativa di Myth Euromed realizzata insieme al Gal Terre Locridee e con il patrocinio dell’Ambasciata di Grecia a Roma e del Museo e Parco archeologico nazionale di Locri – ha riunito lo scorso 6 maggio giornalisti, operatori culturali e studiosi in un dibattito sull’eredità greca tenutosi proprio al parco archeologico di Locri. Ma oltre al confronto di idee, c’è stato spazio anche per un’incursione fisica nei luoghi della grecità locridea, a cominciare da Locri Epizefiri, l’antica città greca che fu alleata di Siracusa contro Crotone e fondò a sua volta le colonie di Hipponion (Vibo Valentia) e Medma (Rosarno). Situata a circa 3 km dalla città contemporanea, la polis era allora un centro di primaria importanza.
“Situata a circa 3 km dalla città contemporanea, la polis era allora un centro di primaria importanza.” Situata a circa 3 km dalla città contemporanea, la polis era allora un centro di primaria importanza. Il percorso di visita inizia poco fuori le mura per poi arrivare rapidamente al tempio in contrada Marasà, la cui ultima colonna rimasta è oggi il simbolo del parco. Gli scavi – condotti tra gli altri dal roveretano Paolo Orsi a inizio Novecento – hanno portato alla luce molti luoghi di culto, un teatro, un grande quartiere abitativo e diverse necropoli.
La visita dell’intero parco archeologico (più di trenta ettari) dura diverse ore e racconta non solo il periodo greco, ma anche l’evoluzione romana e tardo-antica di Locri Epizefiri che fu abbandonata a partire dall’VIII secolo d.C.
Il viaggio nella Locride ci porta poi alla scoperta dell’eredità bizantina, come la bella Cattolica di Stilo, una chiesetta a pianta centrale e di forma quadrata che sovrasta il paesino di Stilo, a una cinquantina di chilometri a nord di Locri. «Se la conquista romana del Sud Italia rappresenta una cesura rispetto al periodo greco (anche se c’è una continuità in molte tradizioni religiose e linguistiche), si assiste ad una nuova ellenizzazione di questi luoghi tra l’VIII e il X secolo d.C. quando i monaci in fuga dall’iconoclastia si insediano in Calabria in modo capillare» , spiega Attilio Spanò, storico dell’arte medievale occidentale, originario di Gerace. Provenienti perlopiù dalla Palestina, questi monaci trovano rifugiano nell’Aspromonte.
Le tante chiesette rupestri e persino le grotte – impressionanti quelle dette di San Pietro che vediamo nei pressi di Pietra Cappa, il monolite più alto d’Europa a 30 km a sud di Locri – testimoniano della presenza dei monaci.
«È in quel periodo che si assiste alla modernizzazione delle divinità, con ad esempio Ares/Marte che diventa San Giorgio o San Demetrio», prosegue Attilio Spanò, «i monaci mantengono una religiosità parallela e nascono delle diocesi che spesso è difficile identificare come completamente greche o latine» Questa seconda ellenizzazione della Calabria contribuisce a spiegare le tante e diffuse influenze greche che si riscontrano ancora oggi nella cultura popolare e che stupiscono, durante il viaggio, anche le rappresentanti dell’ambasciata greca a Roma, sorprese di assaggiare dei fagiolini (fasolákia) preparati proprio come in Grecia.
Al di là infatti delle eredità più note del periodo classico (su tutto, i bronzi di Riace, conservati al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria), sopravvivono parole, espressioni, abitudini, ricette e persino persone che testimoniano di un legame forte con la Grecia. L’influenza ellenica fa capolino, ad esempio, nei nomi dei comuni di Monasterace o Antonimina, la s’intravede nell’usanza – ancora diffusa – di baciare le icone e le immagini sacre, e diventa palese quando si sente parlare il grecanico degli abitanti di Bova (una sessantina di chilometri a sud di Locri), dove esiste tra l’altro un museo dedicato a questa “lingua greco-calabra” e a Gerhard Rohlfs, il filologo tedesco che studiò questo fenomeno linguistico nella prima metà del Novecento.
«Servirebbe una mappatura dell’eredità greca in Calabria, per fare chiarezza su queste influenze e capire quanto risale alla Grecia classica e quanto all’ellenizzazione successiva del periodo bizantino», afferma Attilio Spanò. Gli organizzatori di Levantina si auspicano che il rinnovato interesse nel passato (e presente) greco della Calabria possa anche contribuire a cambiare la narrazione di questa regione, da troppo tempo ostaggio della criminalità, anche nella cronaca. «Proviamo a costruire ponti partendo dal grande patrimonio materiale e immateriale ereditato, tentando di renderlo contemporaneo», ha spiegato all’Ansa Alberto Cotrona, il fondatore di Myth Euromed e all’origine di Levantina.
Di ritorno tra le fiumare, la jeep ci porta ora verso il monastero di San Giovanni Theristis a Bivongi. Costruito nell’XI secolo, il complesso è dedicato proprio ad uno di quei monaci italo-greci che popolarono la Calabria a cavallo tra il periodo bizantino e quello normanno. Altro risvolto interessante: la basilica, che fu attiva fino al XVI secolo, è stata recentemente ristrutturata ed affidata in concessione alla Chiesa ortodossa romena in Italia (la chiesa greca aveva invece preferito non continuare a gestire il luogo). Quando arriviamo, il monastero è dunque in piena attività, con dei fedeli venuti in pellegrinaggio. «I quattro monaci vivono nelle casette costruite qui vicino e gestiscono un laboratorio di cera d’api, distribuendo poi le candele alle 250 parrocchie ortodosse romene in Italia», spiega lo storico Giorgio Metastasio.
Lasciamo il monastero seguendo una sinuosa strada panoramica e ci avviciniamo all’ultima tappa del nostro viaggio: Gerace.
In questo borgo spettacolare che si erge a 500 metri di altezza sul livello del mare, offrendo una vista imperdibile sulla costa ionica, si trova uno degli edifici religiosi più grandi di tutta la Calabria – la basilica concattedrale di Santa Maria Assunta – che vanta una storia intricatissima, specchio delle tante dominazioni che si sono succedute nel tempo. «La potremmo definire prenormanna, protoromanica e postbizantina», spiega Attilio Spanò, mentre saliamo dalla cripta, dove si trova il nucleo originario della chiesa scavato nella roccia, fino all’interno della basilica. «Si potrebbe dire che qui Bisanzio arriva con la mediazione dei tedeschi», prosegue con entusiasmo lo storico dell’arte.
Affacciati al belvedere di Gerace, con lo sguardo che vaga tra il mare, i borghi e la campagna puntellata di olivi, parliamo della stratificazione di esperienze storiche e influenze culturali che caratterizza questi luoghi. E decidiamo di accettare la sfida e di raccontarne un pezzetto.
Questo che presentiamo è il primo capitolo della grecità in Calabria. A Zagabria abbiamo recentemente avviato un progetto che mira a far rivivere la storia attraverso i viaggi: Extinguished Countries, una serie di guide di viaggio su Stati che non esistono più. Il primo volume, in uscita nel 2021, è sulla Repubblica di Venezia, mentre quello a cui stiamo lavorando è sull’Impero asburgico. La sfida è quella di mettere in cantiere una guida della Grecia classica, che vada dalla Magna Grecia in Sud Italia fino alla costa occidentale della Turchia. Racconterà la storia dell’Impero ateniese e quella di Sparta, le celebri vestigia architettoniche e le meno note eredità linguistiche e gastronomiche. Il viaggio ci porterà in luoghi molto famosi e in altri da scoprire, come la campagna locridea. Chi è interessato all’avventura o vuole suggerire storie, luoghi, contatti (e possibili finanziatori!) può scrivere a erodoto@extinguishedcountries.com – l’indirizzo email è stato creato per