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La Galizia asburgica: una diversità travagliata e meravigliosa

Se dovessimo realizzare una guida turistica dedicata alle “regioni che non esistono più”, la Galizia sarebbe sicuramente tra le più gettonate. Infatti, non solo questa provincia nasce dalla spartizione di uno Stato scomparso, la Confederazione Polacco-Lituana, ma svanisce insieme ad un altro Impero del passato, quello Asburgico, di cui era parte.

Tutto ha inizio nel 1772, quando il Trattato di Pietroburgo sancisce la spartizione dei territori polacchi tra le tre maggiori potenze europee dell’epoca: la Prussia, l’Impero Asburgico e la Russia. Questa è la prima di tre spartizioni che, nel 1795, mettono fine alla Confederazione Polacco-Lituana. L’obiettivo del trattato era in qualche modo di ristabilire l’equilibrio in Europa, prima sbilanciato a favore della Russia che aveva una forte influenza sulla Confederazione Polacco-Lituana e aveva vinto le cosiddette guerre russo-turche (1768-1774). Proprio a seguito della spartizione della Confederazione, l’Impero di Maria Teresa allarga i suoi confini fino a comprendere parte delle odierne Ucraina e Polonia, in quello che verrà chiamato il Regno di Galizia e Lodomeria, o più comunemente Galizia.

Dal 1772 al 1918, questa provincia si estende da Cracovia fino a Kolomyja, passando per Leopoli, e deve il suo nome ad un importante insediamento medievale, Halyč (traslitterato Galic) oggi una città dell’Ucraina occidentale situata lungo il fiume Dnestr. Sotto il dominio asburgico, la Galizia gode di un periodo di sviluppo economico e culturale. La componente contadina della popolazione, ad esempio, beneficia di innovazioni in fatto di tecniche agricole ma anche in fatto di libertà, vedendo finalmente abolite le corvée.

Anche il settore dell’istruzione viene riformato e migliorato, permettendo tra l’altro la possibilità di insegnare in lingua ucraina.

Nel diciannovesimo secolo, però, la Galizia conosce anche una violenta rivalità tra la minoranza ucraina e la maggioranza polacca. Quest’ultima era composta principalmente da proprietari terrieri e governatori, tant’è che, anche in quelle aree in cui l’etnia ucraina componeva la maggior parte della popolazione, l’amministrazione rimaneva in mano polacca. Le autorità asburgiche fanno ben poco per bilanciare la situazione, anzi, esiste chiaramente un orientamento filo-polacco nelle politiche imperiali. Nonostante questo, sotto il governo dell’Impero, la società ucraina (o meglio, come veniva chiamata allora, rutena) gode di una buona autonomia culturale, non concessa invece agli ucraini della Russia zarista.

Dopo polacchi e ruteni, il terzo gruppo etnico più ampio era quello ebraico, il cui numero cresce fino quasi a raddoppiare durante il governo degli Asburgo. Gli ebrei della Galizia vivevano in piccoli e pittoreschi villaggi, gli shtetl, in cui lavoravano prevalentemente come mercanti. Col passare degli anni, però, la componente ebraica della Galizia giunge ad occupare anche molti impieghi statali, tant’è che alle soglie del ‘900 gli ebrei costituiscono il 58% dei funzionari e dei giudici della provincia.

La Galizia era dunque una regione multietnica all’interno di un Impero multietnico, e questa sua peculiarità era già allora oggetto di attenzione. Bruno Schulz, uno degli scrittori più famosi del tempo scrive infatti nelle sue memorie: “Io sono un impiegato, un austriaco, un ebreo e un polacco. Tutto nel corso di un pomeriggio”

Le parole e le vite degli autori della Galizia sono una delle migliori chiavi di lettura della cultura e della storia di questa provincia e ci permettono di aprire un passaggio nel tempo e quasi di toccare con mano l’atmosfera che si respirava allora.

Per poterla raccontare, decido di chiedere aiuto a un esperto in materia. Eugenio Berra è il fondatore di Confluenze – Nel sud-est Europa con lentezza e referente nei Balcani del tour operator sostenibile Viaggi&Miraggi. Dal 2019, organizza dei viaggi alla scoperta della Galizia, purtroppo sospesi dall’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022.

Eugenio sa dell’articolo che sto scrivendo, e risponde al telefono con entusiasmo, lanciandosi subito nel racconto della vita di Schultz. “Bruno Schulz nasce nel 1892 a Drohobyč, una città dell’oblast di Leopoli, in una famiglia di lingua polacca, ma di nazionalità ebraica. I suoi racconti sono permeati di realismo magico, e narrano del mito dell’infanzia, del rapporto col padre e del lavoro nella piccola bottega dello shtetl. Schulz svilupperà un rapporto con la sua religione solo a più di 30 anni, sfortunatamente poco prima dell’arrivo dei nazisti, da cui verrà ucciso nel ghetto della sua città natale, nel 1942” racconta Eugenio.

La nostra conversazione ci porta naturalmente a parlare di Lviv (o Leopoli, o ancora Lemberg), capoluogo della parte ucraina della Galizia. Eugenio mi racconta di come gli scrittori dell’epoca non potessero non scrivere di Leopoli, tanto la città li affascinava. “Joseph Roth ha dato una definizione bellissima di Leopoli come città dai confini annullati”, mi spiega, “Roth nasce in Ucraina a fine ‘800 da una famiglia ebraica. E agli ebrei della Galizia dedica un libro splendido, “Ebrei Erranti”, in cui racconta la vita negli shtetl galiziani, abitati all’epoca all’ottanta per cento da ebrei.”

Dalle parole di Eugenio capisco che la Galizia ha certamente dato i natali a molti letterati, ma non solo. “Ci sono varie chicche legate alla Galizia, specialmente a Leopoli. Una di queste è quella del Caffè Scozzese” Prosegue Eugenio, “Il Caffè Scozzese era il luogo di incontro dei matematici della Scuola di Leopoli. Una volta arrivati al caffè, uno di loro lanciava una sfida, un problema matematico, e gli altri provavano a risolverlo. Per scrivere i loro calcoli utilizzavano qualsiasi superficie fosse a portata di mano, anche la tovaglia. Ma la maggior parte delle soluzioni venivano scritte su un grande quaderno comune, il “Quaderno Scozzese”.

Come se la storia non fosse già eccezionale, scopro inoltre che una copia del quaderno è conservata ancora oggi all’interno del palazzo che ospitava il Caffè Scozzese, dove oggi sta il Ristorante Szkocka (Scozzese) 

La conversazione potrebbe durare ancora delle ore, ma per non trattenere oltre il nostro ospite, mi concedo solo un’ultima domanda. Chiedo ad Eugenio di svelare la sua citazione preferita, quella che si vorrebbe scrivere su una mano per non dimenticarla. 

 “Sicuramente i versi di “Andare a Leopoli”, una delle più belle poesie di Adam Zagajewski. Anche se serve tutto il braccio per scriverla” , risponde Eugenio divertito.

 

Io non ho l’intero braccio a disposizione, ma vi lascio qui il mio passaggio preferito: 

 

“e c’era troppa

Leopoli, non ci stava nel piatto,

faceva scoppiare i bicchieri, straripava

da stagni e laghi, fumava da ogni

camino, si mutava in fuoco, in temporale,

rideva col fulmine, diventava docile,

tornava a casa, leggeva il Nuovo Testamento,

dormiva sul divano accanto al tappeto dei Carpazi,

C’era troppa Leopoli e ora
non ce n’è più